Santa Maria della Ginestra

Vista la qualità del terreno sul quale è stata costruita la chiesa (argilloso- sabbioso) e dei materiali impiegati per le murature (ciottoli di fiume) il santuario ha subito frequentissimi restauri, ogni venti-quaranta anni circa. Un edificio doveva esistere già in epoca altomedievale, una chiesa dedicata alla Vergine, come risulta dai decimari del XIII e del XIV secolo. Durante i restauri del 1986, che hanno rinvenuto le fondamenta della chiesa altomedievale, sono stati rinvenuti anche intonaci del XV e del XVI secolo sull’esterno della facciata, con fregi sopra il portale e tracce di un portico coevo di dimensioni diverse dall’attuale. In questi secoli, dunque, la chiesa si trovava nella posizione attuale e possedeva un piccolo portico antistante. Di questa resta solo la facciata, rialzata nel XVII secolo. Nel 1640 il Visitatore Apostolico trova la chiesa in cattivo stato in tecto, parietibus et pavimento. Questa possiede un occhio sopra la porta dove viene ordinato che si ponga una rete. Nel 1651 la chiesa minaccia rovina ovunque, ad eccezione della facciata, che risulta restaurata di recente. Nel 1675 la chiesa viene riedificata a fundamentis (eccezion fatta per la facciata), nel 1680 ancora non è terminata e nel 1694 minaccia nuovamente rovina. Nel 1726 la chiesa e la sacrestia risultano riattate da poco. La chiesa aveva un aspetto simile a quello attuale, era solo un po’ più bassa e più corta, era un vano rettangolare coperto da capriate lignee con un unico altare , una finestra circolare i facciata. E’ preceduta da un piccolo portico con tre archi a tutto sesto su pilastri di mattoni. Ai lati del portale due finestre rettangolari chiuse da inferriate per permettere ai pellegrini di pregare la Madonna a qualsiasi ora, anche quando la chiesa era chiusa. Dietro l’altare una stanza rettangolare adibita a romitorio, sul fianco destro la sacrestia e sopra questa una stanza sede della Compagnia del Santissimo Rosario (1731). Nel 1733 tetto e portico davanti alla chiesa necessitano di un restauro, nel 1755 perizia di due muratori di Levane su richiesta del parroco: squarci in cinque parti sulle pareti. Mel 1782 la chiesa necessita di nuovi restauri, nel 1806 chiesa piccola, con unico altare con immagine di Maria assai antica e scorticciata, due crepe nei muri nengono accomodate. Nel 1833 la chiesa viene misurata e risulta di braccia 15 per 9. Nel 1902, per volere del proposto Mangoni, la chiesa viene rialzata e ampliata. Si costruisce l’abside e due cappelle laterali (trasformazione della pianta in croce latina), rialzamento del tetto, il campanile viene rifatto, vengono comprate nuove campane. Immagine e altare sono spostati di otto metri. Viene distrutto il romitorio per costruire l’abside e le cappelle. Viene rifatto il quartierino sul lato destro con salotto, camera e cucina. Il portico viene ricostruito più alto del precedente. La chiesa viene inaugurata l’8 settembre 1902. Vengono in quel periodo tagliate le querce antistanti e sostituite con dei cipressi. I lavori vengono eseguiti in fretta e con materiali scadenti. Presto rovina il braccio destro del transetto, vengono richiesti finanziamenti a papa Benedetto XV per nuovi restauri che vengono concessi. Al posto del braccio destro viene costruito un piccolo locale per suonare le campane. Nel 1956-1958 restauri della Soprintendenza, chiesa chiusa al culto, il tetto del porticato è crollato, il braccio sinistro del transetto è inagibile, il tetto pericolante. Viene rimosso il pavimento, sottofondate le pareti longitudinali, demolito il braccio sinistro del transetto e il locale per suonare le campane, rifatto il tetto, risanate le lesioni, ripresi gli intonaci. Nel 1986 nuovi problemi di stabilità. Restauri della Sovrintendenza di Arezzo. Viene realizzata una trincea drenante intorno all’edificio a circa 4m5 metri dal piano di campagna per mantenere costante l’umidità del terreno su cui poggia la chiesa, incanalando le acque superficiali. Poste in opera 450 piante di essenze locali, tra cui 150 cipressi. Tolto il pavimento a vespaio realizzato nel 1956-58. Vengono posate travi in calcestruzzo armato in aderenza alle fondazioni collegate con tiranti nella zona sottofondata con tralicci armati inseriti in fori eseguiti con la carotarice nella parete di facciata. Sopra muretti per la posa del pavimento collegato tramite tirantini a tutte le pareti. Ricollegate le lesioni delle pareti. Il portico, in gran parte perduto, è stato ricostruito su una platea armata, in cotto come il precedente, vengono restaurate la capriate lignee, vengono tolti gli intonaci per scoprire la decorazione neoclassica che mostra quali erano le dimensioni dell’edificio prima degli ampliamenti del 1902, viene consolidato l’affresco , ripulito l’altare in pietra, dove è incisa la data 1637, riscoperta la doratura delle parti decorative.Descrizione: Madonna nella mandorla mistica, sorretta da quattro angeli mentre porge la cintola. L’opera è tagliata nella parte inferiore e sul lato destro dove sono visibili soltanto le braccia e una parte dell’aureola dell’angelo. Attribuita ad un discepolo di Spinello Aretino o di Taddeo Gaddi, risale alla prima metà del XV secolo. Dalla raffigurazione manca san Tommaso, al quale la Madonna dovrebbe porgere la cintola. Entrata in uso: tra l’anno 1400 e l’anno 1450 Immagine: Dipinto
Raccolta di ex voto: No

I decimari del XIII e del XIV secolo ricordano una chiesa di Santa Maria a Castelvecchio. I ritrovamenti verificatisi nel corso dei restauri eseguiti dalla Sovrintendenza di Arezzo nel 1986 fanno pensare all’esistenza di un edificio altomedievale (sono stati ritrovati frammenti di laterizio dell’epoca quali tegole e decorazioni geometriche, ma per mancanza di finanziamenti non sono stati eseguiti studi approfonditi sull’edificio). L’affresco venerato, tuttavia, risale al XV secolo. Di fronte a questo, secondo la tradizione, in data imprecisata sarebbe avvenuto il miracolo che originò il culto santuariale. Secondo Silvano Pieri (1988, cfr. bibliografia) il miracolo sarebbe avvenuto tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo, periodo di forte impulso al culto mariano nella diocesi aretina. L’affresco che presumibilmente si trovava inizialmente in un tabernacolo viario fu allora trasportato nella chiesa di Santa Maria, che divenne così santuario. Nella Visita Pastorale del 1640 essa è chiaramente descritta come un santuario. Secondo la tradizione orale alcuni buooi si sarebbero inginocchiati di fronte a un’immagine della Vergine affrescata in un tabernacolo viario. Non è dato sapere con precisione l’epoca del miracolo. Laggenda di fondazione e miracoli sono presenti nella tradizione orale degli abitanti del luogo. Il 3.10.1978 vennero rubati un’acquasantiera in pietra serena del XVII secolo, un candelabro degli inizi del XIX secolo forse in bronzo e un piedistallo in pietra serena del XV secolo. Precisiamo che nel comune di Bucine esiste, oltre a quella situata presso il santuario, anche un’altra fonte lattaia, sita nei pressi della chiesa di San Leolino: in questo caso il ritrovamento di un idolo dell’età della pietra sul luogo consente di confermare la continuità del culto. Questa scheda è stata compilata da Giulietta Cappelletti e Stefano Meacci. la Chiesa nel XIII secolo era sottoposta alla Pieve di Galatrona, alla fine del XIV secolo, inceve, passò alla parrochia di San Martino a Levane. La chiesa veniva officiata dal parroco di San Martino a Levane. Nel 1675-80 la chiesa viene riedificata a fundamentis. Per l’occasione il Visitatore Apostolico nominò quattro persone affinchè, insieme ad un camarlengo, amministrassero la chiesa. Delle funzioni religiose doveva occuparsi il parroco di Levane, a meno che operai e parroco insieme non volessero eleggere un cappellano. Gli operai avevano diritto a un voto ciascuno, il parroco a due voti. La chiesa possedeva un romitorio posto dietro l’abside e distrutto durante i lavori di ampliamento dell’edificio nel 1902 (ne sono stati rintracciati alcuni resti durante i lavori di restauro del 1986). Vi si sono alternati eremiti per tutta la prima metà del XVIII secolo, di essi conosciamo i nomi e le date precise dei soggiorni visto che dagli inizi del secolo, a causa di alcuni inconvenienti nei quali erano incorsi due eremiti francesi, per risiedere nel romitorio era necessario avere il permesso del vescovo. 1708-11 e 1715-34 fra’ Angelo Carresi di Pian di Castiglioni; 1734 fra’ Giovanni Maria Giallini; 1735 fra’ Bartolomeo Frullini di Firenze; 1738-1742 fra’ Domenico Braccini di Radda.

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