Santa Maria in Porto fuori

Edificio a tre navate con abside alla nave principale; gli ampliamenti avvenuti tra XIII-XIV secolo non hanno modificato sostanzialmente tale tipologia.Descrizione: Stele di marmo pario riportante l’immagine della Vergine in atteggiamento orante, nota con il nome di Madonna Greca; di probabile provenienza orientale; sec. XI (?). La leggenda ritiene che l’arrivo della Madonna sia databile all’anno 1100 e quindi si può far risalire a quell’anno l’entrata in uso dell’icona come oggetto di culto. Entrata in uso: nell’anno 1100 Immagine: Icona
Raccolta di ex voto: Dato non disponibile

L’inizio del culto è legato, secondo la leggenda, ad un evento miracoloso: l’avvento dal mare del simulacro della cosiddetta Madonna Greca, che sarebbe stato portato da due angeli nella domenica in albis del 1100. Molte delle notizie relative al Santuario sono tratte dalle cosiddette Memorie Portuensi (documenti in forma di cronaca redatti dai Priori del Monastero nei secoli XII-XIV, di cui si tratta più ampiamente alla scheda 24). Il santuario fu abbandonato nel 1503 quando i portuensi, recando con sé l’immagine della Madonna Greca, si trasferirono nel nuovo cenobio cittadino. La leggenda si fonda sulle cd. Memorie Portuensi (vedi scheda 24). Secondo questa fonte l’inizio del culto è legato ad un evento miracoloso: l’avvento dal mare del simulacro della Madonna Greca portato da due angeli nella domenica in albis del 1100. La chiesa fu distrutta da un bombardamento il 5 novembre 1944; ricostruita, fu consacrata nel 1952. Fonte di rilievo per la ricostruzione delle vicende del santuario di Santa Maria in Porto Fuori sono le cosiddette Memorie Portuensi. Si dà il nome di Memorie Portuensi ad una serie di documenti religiosi scritti dai Priori del Monastero di Santa Maria in Porto Fuori. Redatte in forma di Cronica, queste memorie contengono il racconto dell’origine e delle vicende storiche del Santuario (ca. 1100-1391). Gli autografi non esistono più, forse distrutti all’inizio del secolo XIX nella dispersione dell’Archivio Portuense: ne rimangono le copie e le citazioni tramandateci dagli scrittori dei secc. XVI e XVII. Considerate degne di fiducia e considerazione dagli storici ravennati, fu il Mercati, nel 1895, il primo a scoprirvi indizi evidenti di falsità e di redazione recente, ossia della fine del XIV secolo. Tale ipotesi è condivisa dallo Zattoni. Cf. G.Zattoni, Le Memorie Portuensi (studio storico e critico), in Felix Ravenna 29 (1919), pp. 1-37, vedi scheda bibliografica. indulgenza di cinquecento anni e altrettante quarantene. L’indulgenza è riportata su una lastra di piombo datata a. 1314 rinvenuta in seguito al bombardamento della chiesa nel 1944. Si ha notizia di una disputa a lungo protrattasi in merito alla giurisdizione tra l’arcivescovo di Ravenna Simeone (1217-1228) e i canonici portuensi. La questione fu risolta con una sorta di compromesso nel 1224 da Onorio III. Tale soluzione è ancora accettata da Gregorio IX (a. 1228) e da Alessandro IV (a. 1255) La bolla di Onorio III pose la canonica sotto la giurisdizione dell’arcivescovo e stabilì che: (1) il priore e i confratelli dovevano ricevere dall’arcivescovo di Ravenna gli ordini, le dedicazioni e le consacrazioni di altari e di edifici sacri e le formule di giuramento; (2) la loro assemblea designava il priore, che doveva essere confermato dall’arcivescovo, l’arcivescovo non doveva tuttavia imporgli di giurare davanti a lui; (3) le accuse contro il priore dovevano essere giudicate secondo la formula giuridica, quelle contro i canonici confratelli dovevano essere giudicate dal priore secondo la regola; se il priore avesse rinunciato a farlo lo avrebbe dovuto fare davanti all’arcivescovo; (4) all’arcivescovo ogni anno come procurazione veniva offerto da mangiare per lui, per 25 uomini del suo seguito e per altrettanti cavalli. Nel 1420 i canonici portuensi si fusero con la famiglia dei canonici di Frisonaglia presso Lucca; assunsero poi il nome di canonici lateranensi.

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