Santi Proto e Giacinto

L’organismo non ha delle caratteristiche monumentali peculiari di un luogo di culto, in quanto conserva l’assetto originario del vano in cui i martiri vennero deposti, cioè un braccio di galleria chiuso mediante la costruzione di un muro e ridott, perciò, ad una sorta di cubicolo cimiteriale piuttosto stretto. In questo ambiente va ricostruito l’intervento ornamentale di Damaso. Il carme damasiano, in particolare, del quale si trovarono alcuni frammenti fra le rovine della cripta e la metà sinistra nel pavimento della chiesa dei Ss. Quattro Coronati, ricorda i lavori fatti eseguire per liberare dalle terre il sepolcro dei martiri, nascosto sub aggere montis, locuzione con probabilità allusiva alla pendice meridionale della collina sotto il cui livello era stato scavato il cimitero, ben evidente nella restituzione morfologica dell’area. Forse alla medesima fase monumentale vanno riferiti il frammento di un architrave con l’incisione sepulcrum Proti m[artyris] – ICUR X, 26671- e la lastra commemorativa dei lavori del presbyter Leopardus, probabile coadiutore del papa (cfr. E. Josi, ‘Sepulchrum Hyacinthi Martyris Leopardus presbyter ornavit’, RömQSchr 32(1924), 10-36), che ricorda l’ornamentazione del sepolcro di Giacinto con il riferimento alla data di deposizione (ICUR X, 26673 : Ferrua, Epigrammata 47), essendo ormai nascosto, si può supporre, l’epitaffio originario sotto il pavimento rialzato della cripta. Un ultimo documento epigrafico in caratteri di imitazione filocaliana (ICUR X, 26672 : Ferrua, Epigrammata 47,2) conserva memoria dei lavori di costruzione di un’altra scala prossima al cubicolo di Proto e Giacinto ad opera del prete Teodoro, dalla quale ai pellegrini era possibile, mediante un’apertura, traguardare i sepolcri abbelliti dei santi. Tale descenso che, con la scala originaria, favoriva un flusso continuo di visitatori fu infatti rinvenuto durante i lavori dell’Ottocento.Descrizione: tomba/corpo Tipo: Oggetto del culto non classificabile come immagine o reliquia
Raccolta di ex voto: Dato non disponibile

La prima attestazione del santuario è contenuta nella Depositio martyrum del Cronografo del 354 (Valentini – Zucchetti, II, p. 26); non si può stabilire con precisione, invece, la data dell’abbandono, genericamente assegnata alla fine del IX secolo, epoca in cui le traslazioni sono ormai quasi del tutto avvenute all’interno della città. Poco attendibile appare, infatti, la presenza del nome di Giacinto nella lista di martiri fatti traslare da Pasquale I nella chiesa di Santa Prassede (Liber Pontificalis II, p. 64): quella di Giacinto, infatti, è l’unica tomba di martire rinvenuta inviolata in un cimitero paleocristiano. I lavori intrapresi dal p. Marchi nel 1844 portarono alla scoperta del sepolcro integro, realizzato nel settore inferiore di una parete e perciò nascosto dalla struttura di un successivo rialzamento pavimentale (Marchi, cit. in bibl., 237-272). Esso si presentò al fossore Zinobili, artefice della scoperta, con la lastra originaria ancora affissa recante l’iscrizione Iacinthus martyr, anticipata dal ricordo del giorno di deposizione III idus septe(m)br(es) (ICUR X, 26662), in concordanza con la data riferita dal calendario filocaliano; la rimozione del marmo portò a verificare che il sepolcro era costituito da una nicchietta ampia quanto bastava per raccogliere… un gruppo di poche ceneri ed ossa combuste involte in tela d’oro ed aromi, quale si rivelarono essere i resti conservati appunto all’interno della tomba. In un altro loculo del vano, non più precisamente individuabile, doveva essere stato deposto Proto, che con Giacinto aveva patito il martirio, come tramandano sia la passio Eugeniae (Mombritius II, 391-397) che li descrive eunuchi al servizio della santa. Il nome di Proto, tra l’altro, non compare nella lista di Pasquale I. L’insediamento monastico attestato in prossimità del santuario, che portava il nome del santo più importante del complesso, Ermete, doveva curare anche il polo devozionale costituitosi in rapporto ai sepolcri di Proto e Giacinto.

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