Santissima Trinità

Il grandioso complesso si compone di una Chiesa Vecchia, di una Chiesa Nuova sviluppata sul retro della prima e mai portata a termine, di un palazzetto abbaziale addossato al fianco destro della Chiesa Vecchia, che doveva servire da foresteria al piano terra, e dal monastero vero e proprio al piano superiore. La Chiesa Vecchia ha una facciata costituita da un avancorpo stretto e alto, con l’ingresso fiancheggiato da due leoni di pietra. A destra dell’ingresso è il piccolo palazzo abbaziale: il piano terreno è aperto dalle arcate di un portico ed il piano superiore presenta bifore e una trifora. L’ingresso alle navate avviene con l’accesso alla centrale, la quale a destra è affiancata dalla prima campata della navata laterale, e a sinistra da un setto murario eretto in un’area in cui il prolungamento della navata laterale sinistra non è mai stato completato. Le tre navate sono suddivise in sei campate su pilastri in cotto, sui quali si impostano tre grandi archi trasversali a sesto acuto, realizzati ogni due pilastri ed utilizzati per sorreggere la copertura lignea, risalenti alle ristrutturazioni del XV secolo. La navata centrale si conclude con un grande arco trionfale al quale sono addossate due colonne romane in marmo. Il presbiterio, leggermente sopraelevato rispetto alle navate, si presenta come un transetto concluso da una grande abside suddivisa in otto archi aperti verso la navata centrale della chiesa, rimasta incompiuta, eretta nell’area posteriore all’attuale edificio. La semicirconferenza dell’abside trova riscontro all’esterno in un pavimento musivo che ne segue l’andamento a testimoniare l’esistenza di un deambulatorio, rimosso a seguito di rimaneggiamenti databili all’XI secolo. Nel presbiterio, con due accessi in corrispondenza delle navate laterali, esiste una cripta del tipo a corridoio con tracce di affreschi del secolo XV, al centro della quale è presente una nicchia, attualmente aperta verso gli scavi archeologici sottostanti il pavimento dell’odierno santuario, ma anticamente aperta sul sacello dove erano custodite le reliquie dei martiri venerate nella chiesa. Nel pavimento al centro dell’ingresso l’allestimento moderno ha mantenuto aperto un varco nel solaio che permette l’affaccio nei livelli sottostanti, dove sono visibili, oltre alle strutture murarie di epoca romana, anche i resti dell’ingresso della chiesa longobarda e la forma di fusione di una campana del XII secolo. Dall’abside si passa nella Chiesa Nuova. Intorno all’abside della Chiesa Vecchia si scorgono resti della precedente costruzione paleocristiana e tracce di mosaici pavimentali. Nel 1135 i benedettini diedero inizio ai lavori della chiesa nuova, forse con l’intento di unirla alla precedente e ricavarne così un’unica ampia basilica. I lavori, forse a causa della decadenza dell’abbazia, si arrestarono al completamento dei muri perimetrali. Anche gli ospedalieri di S. Giovanni di Gerusalemme, dopo aver eretto alcune colonne, abbandonarono l’opera. All’interno della chiesa nuova, pertanto, esistono solo i muri perimetrali, il colonnato di destra e i pilastri, che delimitano una pianta a croce latina a tre navate con peribolo, tre absidi semicircolari nel capocroce e un’abside in ciascun braccio del transetto.Descrizione: Achille Cappellano attesta la presenza nel 1584 di una “cona” raffigurante la Ss. Trinità, da lui definita, oltre che bellissima, anche “devotissima et vi si veggono molti miracoli”. Ad una scultura raffigurante la Trinità si fa riferimento nel cabreo del 1774: la statua era situata sull’altare maggiore e raffigurava «l’effigie del Padre eterno, coll’immagine del Suo Santissimo Figlio in croce, ad opera elevata, con una colomba, colle cornici indorate, e sua nicchia di legno pittata, e verniciata…» Agli inizi del XVIII secolo l’artista venosino Nicola Marangelli dipinge una nuova immagine della Ss. Trinità che Geremia D. Mezzina, nel suo volume del 1977, segnala nel salone situato al piano del monastero, in corrispondenza dello spazio occupato al piano terra dal nartece. Intorno agli anni Settanta del XX secolo fu fatta realizzare una nuova scultura lignea raffigurante la Ss. Trinità, opera di artigianato altoatesino. Oggi nel santuario viene venerato un gruppo statuario in cartapesta raffigurante sulla sinistra il Padre, sulla destra il Figlio, entrambi sormontati dalla colomba dello Spirito Santo; tutto il gruppo poggia sul globo terracqueo. Sempre molto venerate sono state le reliquie dei martiri africani Senatore, Viatore, Cassiodoro, della madre Nominata e di S. Atanasio abate di Norcia. Entrata in uso: tra l’anno 1000 e l’anno 1050 Immagine: Statua Reliquia: Ossa
Ubicazione originaria del Santuario: Probabilmente, originariamente erano appesi alle pareti interne del Santuario. Nel 1977 Geremia D. Mezzina registra la loro presenza in un salone situato al piano del monastero, in corrispondenza dello spazio occupato al piano terra dal nartece. Note sulla raccolta: L’antica presenza di ex voto è attestata in vari documenti. In un verbale di consegna della chiesa al subeconomo dei Benefici vacanti di Venosa del 30 settembre 1920, si elencano soprattutto oggetti di oreficeria ma anche sei cuori e una testa d’argento, e persino «una baionetta di argento di grandezza regolare con le iniziali M.C. Anno 1919.» Tipologia degli ex voto: Oggetti di oreficeria, Figurine antropomorfiche, Altro Conservazione attuale: Dispersa.

La chiesa fu la prima cattedrale di Venosa. L’ubicazione decentrata di un così importante edificio rispetto al centro urbano può forse essere spiegata con la presenza di reliquie venerate, in prossimità delle quali sarebbe sorta prima una necropoli e poi, su di essa, una chiesa-santuario. L’ipotesi sembra confermata dal ritrovamento, sotto il transetto destro dell’edificio sacro, di tombe precedenti all’epoca della costruzione della chiesa, risalente intorno al V secolo. Nel santuario godono di un particolare culto le reliquie dei martiri africani Senatore, Viatore, Cassiodoro e della madre Nominata (o Dominata). In base alla tradizione locale, riferita dalla cronaca seicentesca di Giacomo Cenna, essi avrebbero ricevuto il martirio alla colonna situata a destra del portale d’ingresso; l’abate del cenobio benedettino, Ingelberto, avrebbe mandato a papa Leone IX una relazione circa il loro ritrovamento, ed in seguito, nel 1055, papa Vittore II con breve apostolico avrebbe raccomandato la loro venerazione al clero e al popolo di Venosa e di tutta la Puglia. In realtà, i predetti martiri ricevettero il martirio non a Venosa ma in Calabria, e le loro reliquie furono probabilmente portate a Venosa all’epoca dell’abate Berengario (1070 ca. – 24 dicembre 1095), nel momento della massima fioritura dell’abbazia. La tradizione locale, anche in questo caso rifacendosi a quanto riferito dal Cenna, sostiene che le reliquie, forse successivamente occultate o semplicemente dimenticate, furono scoperte nel 1603 dal cavaliere fra Girolamo Alliata (gli storici locali riportano: Valladio), in occasione dello spostamento del coro della chiesa dietro l’altare maggiore. Appena però le reliquie furono spostate, la gran quantità di pioggia che venne dal cielo, insieme a “terremoti e toni”, avrebbe indotto a ricollocare in fretta le reliquie sotto l’altare maggiore, quattordici palmi sotto terra. Più verosimilmente, nel 1603 avvenne una semplice ricognizione delle reliquie dei tre fratelli. La colonna a destra dell’altare maggiore veniva chiamata nel passato “del martirio”, perché tradizionalmente ritenuta luogo di immobilizzazione dei cristiani che venivano flagellati, tra i quali anche S. Felice. Il periodo aureo del monastero della Ss. Trinità fu dovuto alla munificenza della dinastia normanna degli Altavilla e particolarmente di Roberto il Guiscardo che ne fece il famedio della sua famiglia. Egli infatti vi fece raccogliere i resti dei fratelli Guglielmo Braccio di Ferro, Drogone e Umfredo. Vi furono poi sepolti lo stesso Roberto e un altro fratello, Guglielmo del Principato. Nel Catalogus Baronum il monastero appare come una delle abbazie economicamente più potenti del regno di Sicilia. La fiera della Ss. Trinità di Venosa, approvata ufficialmente nel 1313, ma verosimilmente di più antica istituzione, viene definita da Achille Cappellano una delle più importanti di tutto il regno. Essa durava otto giorni: dai primi vespri di Pentecoste sino alla festività del Corpus Domini. Successivamente la fiera fu ridotta a tre giorni; dagli anni Settanta del XX secolo ad un solo giorno. Il 2 maggio 1689, come è attestato anche da un atto notarile, si procedette alla ricognizione delle reliquie di S. Atanasio, poste, secondo quanto già riferito dal Cappellano, nell’altare sotto lo stesso titolo sito nella sacrestia. Il 12 novembre dello stesso anno il vescovo Giovanni Francesco de Laurentiis autorizzò con decreto il culto delle reliquie di S. Atanasio, dei martiri Cassiodoro, Viatore, Senatore e della madre Nominata. Il primo maggio 1694 le reliquie dei tre fratelli e della loro madre furono riunite a quelle di S. Atanasio, nell’altare dedicato a quest’ultimo santo. Il 13 giugno 1791 si procedette ad una loro accurata ricognizione e sistemazione in una nuova cassa. Nel 1059 Niccolò II concesse diverse indulgenze. La chiesa fu consacrata il 17 agosto 1059 da papa Nicolò II, il quale il 24 agosto successivo dichiarò il monastero esente da ogni giurisdizione civile ed ecclesiastica e soggetto direttamente alla Sede Apostolica. Il 22 settembre 1297 l’abbazia fu soppressa da papa Bonifacio VIII e concessa all’ordine ospedaliero di S. Giovanni in Gerusalemme. Con molta probabilità il monastero fu fondato da Drogone di Altavilla intorno al 1040. Con la legge n. 161 del 18 giugno 1807 furono abolite tutte le prelature e le commende familiari dell’ordine gerosolimitano. In seguito al decreto del 5 novembre 1808, poi, i beni dell’ordine furono avocati allo Stato. La chiesa passò pertanto all’amministrazione del Regio Demanio, poi alla Real Cassa di ammortizzazione e quindi al Primo Maggiorato reale.

85029 Venosa PZ, Italy
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