San Cosimo

Santuario di San Cosimo alla Macchia: Storia, Restauri e Devozione

Il Santuario di San Cosimo alla Macchia, situato a Oria in provincia di Brindisi, è un luogo di profonda devozione cristiana e un sito di notevole importanza storica. Recentemente, sono stati avviati interventi di restauro e valorizzazione che comprendono la sistemazione e l’ampliamento della sacrestia e del Centro Assistenza, la copertura dell’altare esterno e la ristrutturazione dei portici con chiostro. Inoltre, è in corso l’ampliamento del Museo dell’Arte Sacra.

Progetti di Valorizzazione e Accessibilità

L’area dismessa adiacente al santuario, di circa 186.000 mq, sarà attrezzata con strutture per sosta e ristoro. L’attuale strada provinciale, che attraversa le aree antistanti il santuario, sarà deviata e trasformata in una strada comunale con pista ciclabile e percorsi pedonali, migliorando così l’accessibilità al santuario.

La Storia del Santuario e delle Reliquie

Secondo la tradizione, il santuario di San Cosimo custodisce le reliquie di cinque fratelli martiri, la cui esatta provenienza rimane incerta. Il primo documento che attesta la presenza delle reliquie risale al XVII secolo. Nella Visita Pastorale del vescovo Lucio Fornari del 1602, si menziona la presenza delle reliquie dei Santi Cosma e Damiano.

Nel 1783, il vescovo Alessandro Maria Kalefati ottenne dal papa Pio VI ulteriori reliquie dei Santi Medici, tra cui un pezzo di omero di San Cosimo e un pezzo di osso del femore di San Damiano. Queste reliquie furono successivamente conservate in un artistico reliquiario in bronzo dorato, lavorato a Parigi e ancora visibile oggi.

Antico Culto e Vicende Storiche

Oria è uno dei centri pugliesi più antichi dedicati al culto dei Santi Medici. La tradizione vuole che nell’VIII secolo, monaci orientali, fuggendo dalle lotte iconoclaste, fondarono il casale di San Cosimo alla Macchia. Tuttavia, il casale subì distruzioni durante le invasioni saracene e arabe tra il IX e il X secolo.

Le prime menzioni del casale risalgono all’inizio del XIV secolo. Nel corso dei secoli, il feudo passò di mano tra vari nobili fino al XVII secolo, quando fu ceduto come semplice feudo ai Nobili Domino Nicolao Francisco Papatodero Oritano.

La Diocesi di Oria e le Relazioni con Brindisi

La storia della diocesi di Oria è complessa e intrecciata con quella di Brindisi. Nel VI secolo, a causa delle incursioni longobarde e saracene, molti fedeli e il clero di Brindisi si rifugiarono a Oria. Questo trasferimento temporaneo durò fino al 1089, quando papa Urbano II ordinò il ritorno dei vescovi a Brindisi. Tuttavia, la diocesi di Oria continuò a esistere come sede indipendente, riconosciuta ufficialmente nel 1591.

Il Santuario Oggi

Il santuario di San Cosimo alla Macchia continua a essere un luogo di pellegrinaggio e devozione. Le testimonianze di grazie ricevute riempiono un intero salone, provenendo da città pugliesi e da emigrati italiani all’estero. Gli ex voto, che includono tavolette dipinte, oggetti di oreficeria e fotografie, testimoniano la profonda fede dei devoti.

Dal 1980, il santuario è mantenuto da una comunità di suore, che si occupano della pulizia e dell’accoglienza dei visitatori. Un sacerdote da Oria celebra quotidianamente la Messa e confessa i fedeli, garantendo che l’ufficiatura non manchi mai.

Conclusioni

Il Santuario di San Cosimo alla Macchia non è solo un luogo di preghiera, ma anche un testimone della storia e della cultura religiosa di Oria e della Puglia. Con i recenti lavori di restauro e valorizzazione, il santuario continua a essere un punto di riferimento per i devoti e un importante patrimonio storico da preservare per le future generazioni.

Fonti e Pubblicazioni

Per ulteriori approfondimenti, sono in corso di stampa una pubblicazione dedicata agli ex voto e un volume che documenterà i miracoli avvenuti, basandosi sulle testimonianze dei miracolati.

Note Finali

Oria resta il centro di culto più antico dedicato ai Santi Medici nel sud Italia, testimoniando una devozione che perdura nei secoli e una storia che affonda le radici nel periodo delle prime incursioni e dei trasferimenti dei vescovi durante le invasioni barbariche.

Altre fonti grezze e notizie varie

Si stanno effettuando interventi di restauro e valorizzazione del santuario di San Cosimo, con sistemazione ed ampliamento della sacrestia e del Centro Assistenza, con copertura dell’altare esterno e ristrutturazione dei portici con chiostro.

E’ in fase di ristrutturazione ed ampliamento anche il Museo dell’arte sacra. L’area dismessa contigua al santuario di San Cosimo (estesa circa 186.000 mq.) sarà sistemata con attrezzature per sosta e ristoro;

inoltre sarà deviata l’attuale strada provinciale, che taglia le aree antistanti il santuario di San Cosimo, che verrà risistemata come strada comunale con annessa pista ciclabile e percorsi pedonali per raggiungere il santuario.

Descrizione: Secondo la tradizione il santuario di San Cosimo possiede le reliquie dei cinque fratelli martiri, della cui provenienza non si può precisare l’epoca, perché non si ha in proposito alcun documento probatorio. Oria, infatti, è uno dei pochi centri della Puglia in cui si venerano tutti i cinque fratelli martiri.

Il primo documento che attesta la presenza delle reliquie risale al XVII secolo. Nel volume in cui sono conservati gli atti della Visita Pastorale, che mons. Lucio Fornari, vescovo di Oria, fece nella cattedrale il 22 aprile 1602 (p. 20 retro), è espressamente detto che tra le tante reliquie, esistenti in quella chiesa, vi erano quelle dei Santi Cosma e Damiano.

Nel 1783 la città di Oria fu arricchita di nuove reliquie. Il sac. Alessandro Maria Kalefati (1726-1793), canonico della cattedrale di Bari, divenuto vescovo di Oria nel 1781, avrebbe richiesto al papa Pio VI alcune reliquie dei Santi Medici, tra cui un pezzo di omero di circa 3 pollici di San Cosimo, un pezzo di osso del femore di San Damiano, un pezzo di tibia del Santo Antimo, il radio di San Euprepio; un pezzo di femore di San Leonzio.

Nel 1783 Alessandro Maria Kalefati giunse ad Oria e vi depose le reliquie. Su ciascuna reliquia egli aveva attaccato un cartellino, sul quale, di suo pugno, come si può vedere ancora, aveva annotato il nome del Santo, al quale essa apparteneva.

La cassetta contenente le reliquie rimase custodita nella Casa della Missione dei Padri Vincenziani fino al 1808, epoca in cui il sindaco di Oria, Giuseppe Salerno, scriveva al vescovo del tempo, mons. Fabrizio Cimino, perché concedesse di riporre e sugellare le reliquie in una nuova urna di legno. Ottenuto il permesso, con lettera del 1808, il Vicario, prima di rinchiudere nell’urna le reliquie, procedette alla necessaria istruttoria.

Le reliquie continuarono ad essere custodite in quell’urna di legno, finché essa, corrosa dal tempo, fu sostituita da un artistico reliquiario in bronzo dorato, lavorato a Parigi. In questo nuovo reliquiario, che è quello che si conserva ancora oggi, nel 1879 furono riposte le reliquie estratte dalla vecchia urna.

Entrata in uso: tra l’anno 1590 e l’anno 1602

Immagine: Statua Reliquia: Ossa

Luogo: Bosco

Ubicazione originaria del Santuario: In una apposita sala ubicata all’interno del complesso santuariale.

Note sulla raccolta: Le testimonianze di grazie ricevute riempiono un intero salone. Queste provengono in gran parte da città pugliesi; ad esse si aggiungono quelle di emigrati italiani all’estero.

Tipologia degli ex voto: Tavolette o lamine con iscrizioni, Tavolette dipinte, Oggetti di oreficeria, Figurine antropomorfiche, Protesi vere o rappresentate, Oggetti vari, Fotografie, Altro

Conservazione attuale: Per ragioni di sicurezza omettiamo la collocazione attuale Rinvio a pubblicazioni o descrizioni a stampa: E’ in corso di stampa una pubblicazione dedicata agli ex voto.
E’ in fase di preparazione un volume sulle diverse tipologie di miracoli, in cui saranno documentati i miracoli avvenuti sulla base delle testimonianze dei miracolati, fra cui alcuni ancora viventi.
Oria è considerato il centro in cui si registra il culto più antico verso i Santi Medici in Italia meridionale. Secondo la tradizione nell’VIII secolo, monaci orientali, a motivo delle lotte iconoclaste, giunsero in Occidente e, tra gli altri, fondarono il casale di San Cosimo alla Macchia, dove costruirono una chiesa per i Santi Medici. Nel 924 i Saraceni avrebbero saccheggiato e distrutto la città di Oria ed il territorio circostante.

Con la distruzione del casale di San Cosimo si ritiene sia stata danneggiata anche la chiesetta. Il casale subì distruzioni anche con gli Arabi Agareni (977 circa). Consideriamo pertanto quale data di inizio del ciclo di vita santuariale il periodo compreso tra 750 e 800 e quale data finale il lasso di tempo intercorrente tra 924 e 977.
Le prime notizie che si hanno del casale di San Cosimo alla Macchia in cui è ubicato il santuario di San Cosimo rimontano all’inizio del XIV secolo, poiché esso fu infeudato nel 1314 al milite Goffredo de Baudonio, cui l’anno seguente successe il barone Angelo De Bernardis da Matera. Nel 1348 fu posseduto dal barone Cervo de Palmerio di Capua (forse l’omonimo presso Nardò). Verso la fine del XIV secolo era posseduto dalla contessa Maria d’Engherrio, la quale lo vendette nel 1407 al barone Luigi d’Acaia. Agli inizi del 1600, abbandonato dai pochi abitanti rimasti, fu ceduto come semplice feudo Nobili Domino Nicolao Francisco Papatodero Oritano, i cui eredi lo possedettero per molti anni. Il culto, però, ai Santi Medici Cosma e Damiano, propagato nella diocesi dai Calogeri, non si spense. Il 5 maggio 1901 il vescovo mons. Teodosio Maria Gargiulo, infatti, consacrò solennemente la chiesa. Il 19 maggio 1985 il card. Sebastiano Baggio, Camerlengo di Santa Romana Chiesa, consacrò il nuovo altare nel piazzale esterno del santuario di San Cosimo.

Per quanto riguarda la diocesi di Oria, nel cui territorio insiste il santuario di San Cosimo, vi è la vexata quaestio se la sede vescovile di Brindisi si fosse in un certo periodo trasferita ad Oria per ragioni di sicurezza in seguito alle incursioni longobarde, saracene e ad altri eventi o se la diocesi di Oria fosse indipendente da quella brindisina.

Fin dal VI secolo la serie dei vescovi brindisini presenta interruzioni e vuoti che si protraggono fino al X secolo. Le cause sono da ricercare nello spopolamento dovuto alla malaria, all’invasione longobarda e alle incursioni saracene. In poco più di 50 anni Brindisi fu espugnata 7 volte; nell’845 e 20 anni dopo i Saraceni la saccheggiarono tanto che il vescovo, il clero e gran parte dei fedeli dovettero riparare ad Oria. Anche Oria, tuttavia, conobbe i sacchegggi saraceni nel 924 e nel 927 e in modo particolare nel 975, quando la città fu abbandonata dagli abitanti.

Durante il X secolo la serie e i nomi dei vescovi di Brindisi si fanno più regolari e più sicuri. Nel secolo successivo appaiono dei vescovi che si dicono arcivescovi di Oria, pur essendo ordinari di Brindisi. M. Monti ritiene che gli arcivescovi di Brindisi, avendo scelto Oria come dimora abituale, perché località più sicura tra le diverse diocesi da loro amministrate, firmavano i documenti come arcivescovi di Oria, pur essendo arcivescovi di Brindisi. Quando giunsero i Normanni in Puglia si impose la ricostruzione della città di Brindisi con il trasferimento in vetere civitate dei pochi cittadini da più di tre secoli accampati nell’entroterra.

Quando Urbano II venne a Melfi per il sinodo del 1089, Goffredo, nipote di Roberto il Guiscardo, chiese al papa di recarsi a Brindisi per consacrarvi la Cattedrale e di restituire alla città il suo antico primato, facendovi tornare i vescovi che erano stati quasi sempre ad Oria. Urbano, tornato a Roma, scrisse all’arcivescovo Godino, ordinandogli di riportare la sua cattedra a Brindisi. Si sa, intanto, che l’arcivescovo Godino, forse anche costretto dagli Oritani, ma certo valutando i rischi che comportava il trasferimento in una città facilmente aggredibile dal mare ed in appena iniziata fase di costruzione, resistette agli ordini pontifici fino a che non fu esplicitamente minacciato di essere rimosso dalla carica. Dopo varie vicende Godino tornò a Brindisi, ma continuò ad intitolarsi arcivescovo di Oria e di Brindisi, mentre Oria restava nel titolo arcivescovile e spartiva con Brindisi l’area diocesana divenendo diocesi associata con i centri di appartenenza incerti se non esplicitamente dichiarati come facenti parte della Mensa Arcivescovile di Brindisi nei documenti amministrativi della curia romana. Contrasti e polemiche si protrassero per tutto il XII secolo fino al XIV, quando Paolo III, il 20 maggio 1545, respinse ancora una volta le richieste degli abitanti di Oria che insistettero per avere l’arcivescovo nella loro città. Gregorio XIV, con bolla del 10 maggio 1591, costituisce Oria come sede vescovile autonoma, libera dalla soggezione all’arcivescovo di Brindisi e quasi suffraganea dell’arcivescovo di Taranto. Nel 1942 si è scoperta l’esistenza del vescovo di Oria Magelpoto, longobardo di origine, come fa credere il nome inciso sul marmo che lo ricorda costruttore di una chiesa. Egli fu il primo vescovo che trasferì da Brindisi, quando la città fu occupata e distrutta dai Longobardi, la sede episcopale in Oria, dove i conquistatori si erano attestati contro i Bizantini con opere difensive, quale è il vallo delle Case grandi presso il santuario di San Cosimo. Fu determinata, quindi, dalla distruzione di Brindisi da parte dei Longobardi, avvenutra tra il 668 e il 677, l’istituzione in Oria di una sede episcopale come trasferimento di quella brindisina.

La posizione che ebbero i vescovi della sede di Oria tra Bizantini e Longobardi in contesa fu delicata ed importante. Fu allora forse che i Bizantini pensarono di legare questa diocesi alla metropolitana di Santa Severina. Grande personalità ebbe Teodosio, vescovo in Oria nell’ultimo quarto del IX secolo. Egli riuscì a tenere in pace Bizantini e Longobardi ed a fare convivere nella diocesi la Chiesa latina e quella greca. Si vuole che nell’886 egli sia stato impegnato dal pontefice Stefano V per una missione a Costantinopoli e che abbia allora anche ottenuto dallo stesso pontefice le reliquie dei Santi Crisanto e Daria che erano state traslate proprio in quel tempo dalla chiesa di Santa Prassede al Laterano. La bolla di separazione delle due diocesi è dell’8 maggio 1591; ultimo arcivescovo che le governò unite fu Bernardino de Figueroa; il primo che governò la sola diocesi di Oria, che con la separazione divenne suffraganea della sede metropolitana di Taranto, fu Vincenzo Del Tufo.
Concessione dell’Indulgenza Giubilare dal 25 dicembre 1999 al 5 gennaio 2001.
Secondo antiche testimonianze la piccola Cappella, fin da tempi molto lontani, era retta da un sacerdote col titolo di Arciprete.

Dal 1980 l’antico fabbricato è permanentemente occupato da Suore di una nascente Comunità Religiosa, le quali, mentre attendono alla pulizia e decoro della chiesa, offrono ospitalità al forestiero, che vi si reca per visitare i Santi. E perché nel santuario non manchi l’ufficiatura, ogni giorno giunge da Oria un sacerdote per celebrarvi la Messa e confessare.
Mons. Montefusco, dopo aver adottato provvedimenti di carattere disciplinare contro il sacerdote ribelle Giuseppe Recchi, che si era insediato come Cappellano nella chiesa rurale di San Cosimo e si era fatto riconoscere tale dall’Autorità Governativa, dovette adire in via amministrativa il Ministero e in via giudiziaria il Tribunale di Lecce e la Corte d’Appello di Trani. Con rispettive sentenze del 9 dicembre 1890 e del 21 luglio 1891 ottenne completa vittoria sul Cappellano intruso, rivendicando i diritti del vescovo sul santuario di San Cosimo alla Macchia. Senza badare a denaro e fatiche, mons. Montefusco sostenne una lunga causa amministrativa presso il Ministero e con soddisfazione generale riuscì ad avere la sentenza di retroduzione, firmata da Zanardelli che si trova elencata nel volume dei documenti ed atti processuali, esistente nell’Archivio della Curia Vescovile di Ostuni.
A seguito dei moti rivoluzionari del 1860, voluti e diretti dalla Massoneria, anche il vescovo di Oria, mons. Margarita, dovette fuggire dalla sua sede in Francavilla e poi in Napoli.

Profittando di questi torbidi politici e dell’assenza del vescovo, il sacerdote Giuseppe Recchi, con degli intrighi, era riuscito ad insediarsi come Cappellano nella chiesa rurale di San Cosimo, e tale si era fatto riconoscere dall’Autorità Governativa, alla quale falsamente aveva denunziato che la nomina era di regio patronato.
Il Succantore Monaco, ritiratosi nella Casa dei Missionari, agitato da scrupoli per il danno arrecato alla Mensa Vescovile col suo procedimento, volle rettificare il suo errore. Per atto del 25 aprile 1750, redatto dal sacerdote Domenico Agliata di Torre Santa Susanna, Notaio Apostolico, dichiarava che, mentendo, aveva ottenuto le Bolle Pontificie, mentre in realtà la chiesa di San Cosimo alla Macchia non era più un beneficio Ecclesiastico, come lo era stato una volta, ma solo una chiesa unita nello spirituale e nel temporale alla Mensa Vescovile Oritana. Rettificata così la cosa, e messa in evidenza la vera natura giuridica della chiesetta rurale, seguono nel processo le testimonianze giurate dell’Arcidiacono Giacinto Ferretti e del Cantore Zefirino Giordano, rese in data 27 aprile 1750.
Fin dal tempo in cui governò la diocesi di Oria mons. Tommaso Francia (1697-1719), il Succantore Francesco Antonio Monaco aveva avuto incarico dal vescovo di amministrare la chiesa di San Cosimo alla Macchia; mandato che gli venne confermato dal vescovo successore, mons. Giovan Battista Labanchi (1720-1746), perché quel sacerdote, nell’opinione pubblica, godeva buona fama. Nel 1738, quando il vescovo Labanchi era già fuggito da Oria per la persecuzione che gli veniva mossa da Michele III Imperiale, Marchese di Oria e Principe di Francavilla, e da alcune famiglie oritane, il Succantore Monaco, per timore che gli si togliesse l’amministrazione della chiesa di San Cosimo, denunziò alla Santa Sede che la chiesa era un beneficio vacante e di patronato della sua famiglia. Ne chiedeva, perciò, e ne otteneva l’investitura e veniva immesso in possesso da mons. La Gatta, vescovo di Bitonto e visitatore apostolico, che in quel tempo amministrava la diocesi di Oria, in assenza di mons. Labanchi.


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