Santa Lucia

Don Zanzarelli dedicò altre cure alla chiesa superiore rifacendo il pavimento ed ornandolo di marmi; fece costruire la Casa canonica, edificata su 100 mq. di terreno che il Comune concesse gratuitamente nella seduta del 29 ottobre 1952. I lavori, intrapresi nel 1960, terminarono nel 1965. Nel 1969 lo stato generale di tutto il complesso, nonostante le molteplici riparazioni, non era ancora soddisfacente e presentava delle lesioni nella cupola della chiesa superiore. Il Rettore, don Saioni di Roma, intraprese il risanamento per garantire una sicura affidabilità e per rendere quanto più possibile accogliente l’aspetto del Tempio. Nel 1971 fece costruire un nuovo portone per l’entrata principale della chiesa superiore e dedicò cure alla cappella seminterrata, in quanto si rese conto che la scala attraverso la quale si accedeva era scomoda e non permetteva un flusso regolare ai pellegrini. Fece costruire l’attuale scala. Durante i lavori di scavo, vedendo affiorare dei cornicioni sul muro perimetrale, si rese conto che il piano della vecchia chiesa non era quello attuale. Animato da uno spirito di ricerca archeologica, mons. Zanzarella ideò e portò a termine nel 1980, attraverso degli scavi opportuni in alcuni angoli e nella Cappella del Santissimo Sacramento, già Cappella della Madonna del Barone (secondo la tradizione popolare la Madonna del Barone era una statua che si trovava nel Palazzo Ducale e fu dal Barone Laviano donata alla chiesa di Santa Lucia), l’aspetto della chiesa superiore come era alle origini. Nel 1985 curò la pitturazione totale della chiesa superiore e da Arnaldo Fortunato, restauratore vaticano e di molte opere d’arte in Italia, fece restaurare lo stemma di Erchie risalente al 1600, attualmente situato sulla parete dell’altare maggiore, la base artistica e la statua dorata di Santa Lucia. Oggi nella cripta di Santa Lucia si scende attraverso 58 gradini.Descrizione: La tradizione vuole che nell’XI secolo le reliquie di Santa Lucia fossero traslocate da Siracusa. I pareri sono discordi. Alcuni ritengono che furono trasportate a Corfinio, piccolo paese dell’Abruzzo, in provincia di L’Aquila, e poi a Metz in Francia; altri, invece, asseriscono che furono portate a Costantinopoli dal generale bizantino Giorgio Minace, che, conoscendo già il potere miracoloso di Santa Lucia, e pensando di fare cosa gradita alla sua imperatrice Teodora, assoldò un siracusano per sapere dove era il corpo di Santa Lucia: aperta la tomba, esso fu trovato ancora integro assieme alle vesti. In seguito, nel 1204, quando i Crociati occuparono Costantinopoli, il Doge Enrico Dandolo, lo portò a Venezia, depositandolo nel tempio di San Giorgio. Per quanto riguarda l’itinerario che le sacre spoglie fecero, gli studiosi hanno avanzato due ipotesi. In base alla prima ipotesi, secondo cui le reliquie furono trasportate a Corfinio, si suppone che coloro che furono preposti alla traslazione, dovendo raggiungere il versante adriatico e proseguire verso nord per evitare il più possibile l’Appennino e le vie consolari molto frequentate, abbiano scelto la via del mare, approdando sulla costa ionica salentina; inoltratisi poi sulla terra ferma, abbiano fatto sosta nell’anfratto di Erchie, circondato da boscaglie, che si trovava al centro della zona. La stessa cosa si ritiene attenendosi alla seconda ipotesi: Maniace, per recarsi a Costantinopoli, avrebbe intrapreso lo stesso itinerario, sia per celerità, sia per evitare il mare a sud di Otranto, già dominio dei Musulmani. Alcuni elementi fanno propendere per la seconda ipotesi; tra questi, soprattutto la presenza, nella foresta oritana, dei monaci Basiliani, che avrebbero accolto ed agevolato il passaggio delle sacre reliquie. Sempre secondo la tradizione, i soldati greci, con a capo Maniace, giunti ed inoltratisi nella foresta oritana, pervennero nella zona di Hercle, dove si rifugiarono in un anfratto nascosto tra i cespugli. Nello stesso periodo, nella grotta dell’Annunziata, a circa un miglio dal suddetto anfratto, viveva una comunità di monaci Basiliani, che, incuriositi dal movimento creatosi, si recarono sul posto e venerarono le preziose spoglie di Santa Lucia che Maniace aveva deposto lì. Con il passare degli anni la notizia si diffuse e non furono più soltanto i Basiliani ad onorare il luogo santo. Verso il 1690, in seguito all’interessamento di mons. Carlo Bovio, arrivarono da Venezia in Erchie le reliquie di Santa Lucia, consistenti in alcune ossa del braccio, che il 1 ottobre 1733 mons. Abomandi trovò collocate nel petto della statua lignea. Le suddette reliquie andarono disperse o trafugate; al loro posto attualmente si trova una reliquia composta da un brandello di pelle di cm. 3×2. Un documento, conservato nell’Archivio di Santa Lucia, comprova la donazione dell’attuale reliquia che si trova nel busto ligneo della statua. In esso si descrive come la reliquia, munita del sigillo vescovile, fu trovata nelle campagne astigiane, vicino ad una chiesa diroccata, dal sig. Romualdo Zilli, che il 13 dicembre 1982 la donò al Rettore del santuario, mons. Sergio Saioni, alla presenza di suor Diomede D’Ostuni e del sig. Cosimo Carrozzo. Il giorno seguente tale reliquia fu sottoposta all’osservazione di mons. Armando Franco, vescovo di Oria, che, dopo aver constatato l’integrità del sigillo vescovile, ne autorizzò la pubblica venerazione. E’ oggetto di culto anche l’acqua della fonte. Entrata in uso: tra l’anno 1685 e l’anno 1690 Immagine: Statua, Dipinto Reliquia: Ossa, Altra Luogo: Grotta, Bosco, Fonte Descrizione: Oggetto di culto è anche una fonte di acqua ritenuta miracolosa. Entrata in uso: tra l’anno 1500 e l’anno 1550 Luogo: Grotta, Bosco, Fonte
Ubicazione originaria del Santuario: Inizialmente la raccolta di ex voto era conservata nel convento delle suore Stimmatine, nei pressi del santuario di Santa Lucia. Note sulla raccolta: Si tratta, per la maggior parte, di oggetti di oreficeria. Tipologia degli ex voto: Oggetti di oreficeria Conservazione attuale: A partire dal 1997 gli ex voto sono conservati presso una banca di Erchie, come attesta un documento redatto in triplice copia e custodito dal vescovo di Oria, mons. Marcello Semeraro, dalle suore Stimmatine e dal Rettore del Santuario, sac. Gianfranco Aquino.
Si tratta di testimonianze di miracolati in qualche caso ancora viventi. Esse sono conservate nell’Archivio del Santuario e nell’Archivio Diocesano (Carteggio di Santa Lucia).
Anticamente Hercle (antico nome di Erchie) era inserita nell’ager della foresta oritana in cui trovarono asilo, tra gli altri, anche monaci Basiliani transfughi, i quali, ove ne ebbero la possibilità, crearono siti religiosi in grotte e in luoghi adibiti in origine al culto pagano. Il culto di Santa Lucia fu introdotto dai monaci Basiliani, i quali, intorno all’anno Mille, costruirono la cripta seminterrata e la affrescarono. Verso la seconda metà del XIV secolo il casale di Erchie fu infeudato al barone Egidio de Fallosa che pro casalibus Ercle, Cellini, S. Viti, Ogiani et pheodum S. Stefani pagava 3 oncie, 31 tarii e mezzo. Negli ultimi anni del 1400 la Cappella fu abbandonata a causa delle continue scorrerie belliche tra Francesi e Spagnoli. Agli inizi del 1500 la Cappella, mentre riprendeva vita il casale, venne risistemata e continuò ad essere meta di pellegrinaggio; le offerte venivano incassate dal feudatario di turno, che, però, non provvide quasi mai alla manutenzione. Agli inizi del 1500 il re diminuì la sovvenzione per il casale di Erchie. In seguito, il casale, riabiliato, fu posseduto, col limitrofo Torre Santa Susanna, dal barone Ciccarello Montefuscolo. Nel 1519 si trova nuovamente del tutto spopolato per cui Carolus De Noia Vice Rex concessit Iohanni Antonio Montefuscolo potestatem ut reabitare faciat casale Erculanum in terra Idronti. Nel 1565 la Cappella fu nuovamente abbandonata e lasciata in uno stato di miseria, come attesta la Visita di mons. Carlo Bovio, che la trovò in uno stato disastroso e bisognosa di essere riparata. Negli anni successivi alla Visita di mons. Bovio, la chiesa rimase ancora nel totale abbandono, come testimonia la Visita pastorale di mons. Lucio Fornari, vescovo di Oria del 1603. La chiesa superiore (cappella seminterrata) di Santa Lucia fu trovata dappertutto indecorosa, minacciava di crollare e l’altare non aveva i paramenti necessari. Mons. Fornari, ritornato ad Oria, diede subito ordine che fosse messo riparo all’indecoro che regnava nella chiesa di Santa Lucia. I lavori furono terminati nel 1605, come testimonia la lapide che tuttora si vede nel tempio sottostante. Nel corso dei secoli, fino agli inizi del 1900, la chiesa subì diversi abbandoni. Esiste una leggenda orale legata al ritrovamento di una sorgente sotterranea: all’inizio del 1500 un pastore, durante un periodo di grande siccità, nel pascolare le sue mandrie, si accorse che la sua mucca si allontanava. Volle seguirla e la trovò mentre beveva in un anfratto, nel quale rinvenne anche l’immagine di Santa Lucia. L’acqua della sorgente si dimostrò subito miracolosa per le malattie degli occhi. Il quadro raffigurante Santa Lucia era stato collocato nella primitiva Cappella dai feudatari di Erchie; a causa di una delle inondazioni subite dalla cappella, ubicata nel punto più basso della zona, il quadro fu trasportato dalla corrente. In seguito al prodigioso rinvenimento fu edificato un altare sul quale fu posto il dipinto ritrovato. Una variante narra che i contadini notavano che gli animali domestici e quelli da lavoro, passando davanti ad una certa grotta, davano segni di inquietudine e tendevano a fermarsi nonostante le percosse. Un giorno un massaro volle andare in fondo alla cosa e seguì uno dei suoi buoi che, giunto davanti alla grotta, vi entrò, si diresse verso un’immagine e vi si inginocchiò davanti. Era l’immagine di Santa Lucia. Non appena la notizia si riseppe il popolo volle edificare su quel luogo una chiesa per onorare Santa Lucia. Secondo la tradizione, nell’XI secolo le reliquie di Santa Lucia furono traslate da Siracusa a Corfinio, piccolo paese dell’Abruzzo in provincia di L’Aquila, e poi a Metz in Francia. Altri asseriscono che furono portate a Costantinopoli dal generale bizantino Giorgio Maniace. In seguito, nel 1204, quando i Crociati occuparono Costantinopoli, il Doge Enrico Dandolo, le portò a Venezia, dove, tuttora, riposano. La tradizione vorrebbe che i resti della Santa, durante le traslazioni, siano passati anche per il territorio di Erchie, nel quale viveva una comunità di monaci Basiliani, che, dopo aver venerato le reliquie, diffusero il culto della Santa nell’insediamento rupestre, che le aveva ospitate. I Basiliani adibirono l’anfratto a cappella, la intonacarono, dipinsero al centro un’immagine della vergine di Siracusa ed affrescarono le pareti con raffigurazioni, che, fino a qualche tempo fa, si intravedevano sotto figure eseguite più recentemente. Tra il 1804 e il 1836 fu ultimata la chiesa superiore. I lavori procedevano a rilento anche per mancanza di denaro. Il 1° novembre 1851 il sindaco Ferdinando Nicolì convocò il decurionato ed informò che solo con la vendita dei donativi di ori ed argenti esistenti nella chiesa di Santa Lucia si poteva ottenere il compimento di un Tempio di somma aspettativa di tutti i fedeli. Ottenuto il beneplacito del Vescovo mons. Margherita e l’autorizzazione Pontificia, col ricavato della vendita degli ori e argenti e con la ferma volontà del Comune, venne ultimata la chiesa superiore che, il 25 aprile 1865, fu inaugurata dal Vicario mons. Pasquale Maggio, alla presenza del sindaco Francesco Papa, dei consiglieri comunali, delle autorità militari e di una folla di Ercolani. Nei primi anni del 1953 gli Ercolani fecero pressanti richieste alla Curia di Oria affinché la chiesa di Santa Lucia fosse classificata come santuario diocesano. Tale fu dichiarato l’8 aprile 1853 da mons. Alberico Semeraro. Per quanto riguarda la diocesi di Oria, nel cui territorio insiste il santuario di Santa Lucia di Erchie, vi è la vexata quaestio se la sede vescovile di Brindisi si fosse in un certo periodo trasferita ad Oria per ragioni di sicurezza in seguito alle incursioni longobarde, saracene e ad altri eventi, o se la diocesi di Oria fosse indipendente da quella brindisina. Nell’XI secolo appaiono dei vescovi che si dicono arcivescovi di Oria, pur essendo ordinari di Brindisi. M. Monti ritiene che gli arcivescovi di Brindisi, avendo scelto Oria come dimora abituale, perché località più sicura tra le diverse diocesi da loro amministrate, firmavano i documenti come arcivescovi di Oria, pur essendo arcivescovi di Brindisi. Quando giunsero i Normanni in Puglia si impose la ricostruzione della città di Brindisi con il trasferimento in vetere civitate dei pochi cittadini da più di tre secoli accampati nell’entroterra. Quando Urbano II venne a Melfi per il sinodo del 1089, Goffredo, nipote di Roberto il Guiscardo, chiese al papa di recarsi a Brindisi per consacrarvi la Cattedrale e di restituire alla città il suo antico primato, facendovi tornare i vescovi che erano stati quasi sempre ad Oria. Urbano, tornato a Roma, scrisse all’arcivescovo Godino, ordinandogli di riportare la sua cattedra a Brindisi. Si sa, intanto, che l’arcivescovo Godino, forse anche costretto dagli Oritani, ma certo valutando i rischi che comportava il trasferimento in una città facilmente aggredibile dal mare ed in appena iniziata fase di costruzione, resistette agli ordini pontifici fino a che non fu esplicitamente minacciato di essere rimosso dalla carica. Dopo varie vicende Godino tornò a Brindisi, ma continuò ad intitolarsi arcivescovo di Oria e di Brindisi, mentre Oria restava nel titolo arcivescovile e spartiva con Brindisi l’area diocesana divenendo diocesi associata con i centri di appartenenza incerti se non esplicitamente dichiarati come facenti parte della Mensa Arcivescovile di Brindisi nei documenti amministrativi della curia romana. Contrasti e polemiche si protrassero per tutto il XII secolo fino al XIV, quando Paolo III, il 20 maggio 1545, respinse ancora una volta le richieste degli abitanti di Oria che insistettero per avere l’arcivescovo nella loro città. Gregorio XIV, con bolla del 10 maggio 1591, costituisce Oria come sede vescovile autonoma, libera dalla soggezione all’arcivescovo di Brindisi e quasi suffraganea dell’arcivescovo di Taranto. Nel 1942 si è scoperta l’esistenza del vescovo di Oria Magelpoto, longobardo di origine, come fa credere il nome inciso sul marmo che lo ricorda costruttore di una chiesa. Egli fu il primo vescovo che trasferì da Brindisi, quando la città fu occupata e distrutta dai Longobardi, la sede episcopale in Oria, dove i conquistatori si erano attestati contro i Bizantini con opere difensive, quale è il vallo delle Case grandi presso il santuario di San Cosimo. Fu determinata, quindi, dalla distruzione di Brindisi da parte dei Longobardi, avvenuta tra il 668 e il 677, l’istituzione in Oria di una sede episcopale come trasferimento di quella brindisina. La bolla di separazione delle due diocesi è dell’8 maggio 1591; ultimo arcivescovo che le governò unite fu Bernardino de Figueroa; il primo che governò la sola diocesi di Oria, che con la separazione divenne suffraganea della sede metropolitana di Taranto, fu Vincenzo Del Tufo. Il santuario di Santa Lucia è entrato di diritto tra gli edifici di culto dedicati a Santa Lucia; esso è inserito nelle cosiddette pirdunanzi (giorni di preghiera in cui si acquistano le indulgenze): il secondo giovedì dopo Pasqua e il 13 dicembre. Concessione dell’Indulgenza Giubilare dal 25 dicembre 1999 al 5 gennaio 2001. Con Decreto dell’8 aprile 1953 il vescovo di Oria, Mons. Alberico Semeraro, elevò la Chiesa di Santa Lucia alla dignità di santuario diocesano. Nel 1700 vi furono continue diatribe tra il Capitolo e l’Università di Erchie contro i vescovi di Oria per il possesso della Chiesa di Santa Lucia. L’Università fu perfino costretta a modificare il suo Stemma, aggiungendo all’Ercole che spezzava una colonna, una tazza con dentro due occhi, con intorno la scritta: Santa Lucia Ercularum. Dal 1980 collaborano alla cura spirituale del santuario le Suore Stimmatine. In base alla legge del 15 agosto 1867 la chiesa di santa Lucia divenne di proprietà del Comune, che, oltre a non pensare alla sua manutenzione, la adibì sino al 1920 a Seggio elettorale per i 780 elettori della I Sezione.

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